Kung Fu Manager – Oltre la cultura dell’errore

Pratico arti marziali da vent’anni – una volta conclusa la carriera agonistica, sono entrato in un dojo di kendo, l’arte della spada e ho ritrovato lo stesso spirito delle altre discipline che ho seguito.
Una delle regole che il maestro ripete spesso è che il dojo è il luogo dove sbagliare. Anzi, dove si DEVE sbagliare, perché è un luogo protetto, di sperimentazione, dove si impara, ci si perfeziona, si diventa padroni della propria arte.

L’abissale differenza con il mondo esterno si vede quando arriva un principiante nel dojo. I principianti sono più lenti e quindi tendono a completare gli esercizi dopo: così capita spesso che tutti abbiano finito e guardino il principiante ancora intento a praticare. A quel punto, si vede come la cultura dell’errore e del giudizio sia presente nella nostra vita, nelle aziende, nelle scuola: il principiante solitamente si ferma. Sente tutti gli occhi puntati su di sé e non vede compagni che lo supportano e che non lo giudicano, ma critici severi.
Quello che vedo spesso, purtroppo, nelle aziende in cui lavoro, in cui l’abitudine a giudicare senza chiedere, a interpretare senza esplorare è così forte che il gioco di team spesso si traduce in un gioco in difesa per tutti. Si cerca di coprirsi le spalle.

Nel dojo invece succede qualcosa di diverso: il maestro chiede al principiante di continuare a praticare e anzi, lo fa proseguire più del necessario, per permettergli di migliorare lì, in quel momento. Quando anche un minimo miglioramento è visibile, si riprende e a volte tutti fanno un applauso. Per il piccolo miglioramento, certo, ma soprattutto per il fatto che la persona ha praticato senza paura.

Nel dojo si spinge la persona a sbagliare, sperimentare, per migliorare e la si premia per questo. Dopo qualche tempo, il principiante cambia completamente ottica: non è più rigido, nervoso, sempre attento a fare tutto giusto. Prova, sbaglia, cade, si rialza, ascolta il maestro e i compagni e va avanti. Perché nessuno si azzarderebbe mai a giudicare. Perché il dojo è il luogo dove si sbaglia. Dove si spinge la persona a continuare a praticare per poterlo premiare quando, inevitabilmente, mostra segni di miglioramento.

La cultura dell’errore nel dojo non esiste, perché l’errore non esiste, se non come fase naturale di sperimentazione. Come la caduta del bambino che impara a camminare, o il suo congiuntivo sbagliato quando sta imparando a parlare.
I manager dovrebbero creare un loro dojo, dove si può, anzi, si DEVE sbagliare. Dove tutti possono sperimentare, imparare, crescere, condividere esperienze senza paura di essere giudicati. Dove si spinge la persona oltre al suo limite, con grazia ma decisione, non per criticarla, quando sbaglia, ma per farle un applauso, quando migliora.
Nel dojo una critica è vista come un prezioso aiuto per continuare a migliorare e l’intento è proprio questo. Nel dojo il feedback è preciso, puntuale, senza giudizi o interpretazioni. Il feedback ha il solo scopo di farti crescere e di mantenere lo spirito del team, così prezioso per diventare padroni della propria arte.

La grande trasformazione che operiamo in azienda spesso la vediamo in un team di venditori. La riunione di vendita solitamente è fatta di venditori che aprono il lor PC e snocciolano i dati di vendita. Le critiche sono di solito gestite sulla difensiva: “è un cliente difficile” – se ha detto che il venditore è stato arrogante. “Il prodotto è troppo caro,” se non si vende o il venditore viene ripreso per avere concesso uno sconto eccessivo. “La pubblicità non ci supporta,” se non raggiungono i risultati sperati. Così i risultati sono sempre gli stessi: risicati, difficili da catturare.
Così li facciamo andare a parlare con un cliente di cui si fidano, invitandolo in azienda (o via skype). Il cliente rivela i loro punti deboli, creando però un dojo dove lo scopo è quello di migliorare. Poi li facciamo andare dai clienti con un caveat: vietato vendere. Ascoltare, imparate e portate i vostri apprendimenti alla prossima riunione. I venditori si scoprono i principianti del dojo: all’inizio sono resistenti, poi comprendono lo scopo e lentamente, cominciano a cambiare strategia. Fanno domande, ascoltano e la critica è spesso formulata in modo costruttivo e ricevuta con tranquillità.
I principianti continuano la pratica, diventando, nel tempo, maestri della propria arte.

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